Meditazione e mind-wandering, il vagare della mente

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Cosa può succedere quando siamo veramente attenti?

Quando Archimede, il matematico siracusano alla corte di Gerone, si immerse nella vasca, si sarebbe potuto preoccupare dell’acqua che fuoriusciva o della temperatura, ma lui si accorse di altro.

Un’azione consueta come farsi il bagno, mettersi sotto la doccia, lavarsi i denti, si esercita in automatico, un comportamento della mente che gli inglesi chiamano off-task. I gesti vanno da soli accompagnando i movimenti senza una completa partecipazione e attenzione.

Questo in parte è un vantaggio, perché ci permette, mentre ci troviamo in questa modalità, di scorrere tutti gli impegni della giornata, di riflettere e di ricordare con attenzione.

Nel corso della sua evoluzione, l’uomo ha sviluppato meccanismi per prevedere le conseguenze delle azioni e per difendersi efficacemente dai possibili pericoli.

Lo stesso accade in tante altre occasioni, per esempio quando guidiamo. Compiamo gesti automatici in sintonia con conversazioni, pensieri o fantasie che ci portano lontano, magari con l’accompagnamento di un motivo musicale passato per radio in quel momento.

Tutti facciamo esperienza delle continue distrazioni, ci dimentichiamo perché siamo entrati in una stanza, come siamo arrivati in quella strada con la macchina o il nome della persona che ci hanno appena presentato, a causa della scarsa attenzione.

Anche quando decidiamo di fare qualcosa di piacevole come leggere un libro, fare un puzzle o guardare un film, abbiamo tutti incontrato l’esperienza di trovarci altrove, immersi in una scena del passato o proiettati nel futuro, forse immersi in un sogno ad occhi aperti.

C’è una parte di noi che si preoccupa di ciò che deve venire o che va nel passato in cerca di qualcosa, di una spiegazione, di un motivo che ci permetta di capire perché le cose sono andate o continuano ad andare in un certo modo. 

Come ricorda Massimo Recalcati[1], fu Sartre a lasciarci l’insegnamento che… sempre rileggiamo il nostro passato a partire dal nostro procedere verso l’avvenire e sempre l’avvenire ci consente di dare forme diverse al nostro passato.

Questo meccanismo però può alterarsi.

Questa fuga dal presente non solo ci distrae da ciò che in quel momento stiamo vivendo, ma può innescare ulteriori processi, cosiddetti di ruminazione, in cui ci affanniamo alla ricerca di quali motivi abbiano determinato lo sviluppo delle nostre vicende.

Ma proprio quella modalità automatica che ci consente tante cose, che ci fa venire le idee, che ci permette di fare collegamenti, di progettare e di prevedere, è così tanto allenata che spesso si estende oltre le reali necessità.

E quando questo accade, si genera il fenomeno del mind-wandering, della mente che vaga.

In uno studio del 2006, Killingswort & Gilbert hanno riscontrato che questo vagare occupa ben il 46,9% del nostro tempo. Metà delle nostre attività di veglia è un’attività portata avanti senza attenzione!

In questa condizione, chiamata anche rimuginio, la mente appunto vaga e una mente che vaga è una mente ansiosa, auto-focalizzata, infelice e distratta come scrive lo psicologo e neuroscienziato neozelandese Michael C. Corballis nel suo libro La mente vaga – Cosa fa il cervello quando siamo distratti.

Tutti alterniamo attenzione e distrazione, ma quando il pensiero intrusivo si insedia prepotentemente nella nostra mente, accade che possa attivarsi una catena di pensieri ansiosi. Il pensiero intrusivo in genere è un meccanismo inconscio, ricorrente, rimanda un senso di vulnerabilità, potenzia l’autocritica, ci toglie energia e ci consuma.

Insomma, rimuginio e ruminazione sono fenomeni negativi per la nostra salute, perché alla lunga il nostro sistema non regge e può reagire con ipertensione e disturbi cardiocircolatori.

Per tornare ad Archimede, la sua mente avrebbe potuto inseguire la preoccupazione di raffreddarsi, di ammalarsi, di bagnare per terra, immaginando poi scenari preoccupanti per la sua salute o per il suo pavimento. Il suo umore rattristato avrebbe alimentato il worry, quel rimuginio, quel dialogo interno che porta a pensare e immaginare che le cose andranno male.

[1] M. Recalcati, Ritorno a Jean-Paul Sartre, esistenza, infanzia e desiderio. Einaudi, Torino, 2021

Che cos’altro accade quando non prestiamo attenzione a quello che sta accadendo?

Avvertiamo ansia per pericoli futuri, consideriamo gli eventi come minacciosi, si verifica un deficit dell’attenzione, un evitamento esperenziale e così ci si avvia in un circolo vizioso.

E ciò che penso diventa ciò che sento.

Meno male che Archimede è rimasto sull’esperienza, con attenzione a ciò che stava accadendo senza farsi prendere immotivatamente da scenari catastrofici. L’immergersi nell’acqua, senza essere sovrappensiero, gli ha consentito di osservare quello che era sotto i suoi occhi, cioè che la spinta che il suo corpo riceveva dal basso verso l’alto era pari al peso del liquido spostato!

La nostra storia evolutiva ha allenato quella parte automatica del nostro agire. Il nostro cervello ha infatti una rete cerebrale, una specifica area del cervello che funziona in automatico. Un’orchestra di neuroni riservata a tutte le azioni della mente che vaga.

Quel continuo pensare ricorsivo alle stesse cose diventa invalidante, richiedendo al cervello un consumo energetico che ci sottrae lucidità.

Ogni volta che andiamo dietro alle nostre auto-narrazioni, attiviamo zone del cervello che tenderanno poi a riattivarsi tutte insieme.

Nel 1949 lo psicologo canadese D Hebb studiò questo fenomeno formulando la regola di Hebb: se due neuroni interconnessi si attivano ripetutamente durante un certo evento, la loro connessione si rafforza, conservando nel tempo il ricordo di quell’evento.

La Meditazione e il Default Mode Network

Quando riposiamo, ricordiamo, riflettiamo e ci preoccupiamo, svolgiamo attività passive attivando il Default Mode Network2 . Esso è il sistema della condizione di default, considerato come il motore automatico interno in grado di generare quel continuo emergere di idee, pensieri, memorie autobiografiche che, in un qualche modo, interferiscono con ciò che in quel momento si sta facendo.

Uno studio del Department of Psychiatry della Yale University School of Medicine3, conferma l’efficacia della meditazione e della pratiche di Self-Compassion4, di gentilezza verso se stessi, nel calmare quel rimuginio, quello stile di pensiero ricorrente e negativo. La meditazione inoltre risulta efficace nel migliorare le capacità di gestire l’ansia, le eccessive preoccupazioni per il futuro e l’attenzione, in quanto, richiedendo un’azione focalizzata, disattiva il DMN.

La meditazione risulta efficace anche nella regolazione del battito cardiaco, fondamentale per la salute cardiovascolare.

Con la meditazione, inoltre è possibile alleggerire la convinzione alla lunga invalidante, di non avere tutte le risorse necessarie per affrontare e risolvere i problemi che incontriamo.

Per concludere, ogni momento può regalarci sorpresa e meraviglia, a patto di riservagli attenzione, ogni problema può essere affrontato attingendo a quelle risorse che frequentemente offuschiamo distratti dall’automatismo della distrazione!

Sei libero quando capisci che la tua schiavitù è una tua creazione e smetti di forgiare le catene che ti legano (Nisargadatta Maharaj).

2Intrinsic Default Mode Network Connectivity Predicts Spontaneous Verbal Descriptions of Autobiographical Memories during Social Processing – PubMed.

3Judson A. Brewer, Patrick D. Worhunsky, Jeremy R. Gray, Yi-Yuan Tang, Jochen Weber, and Hedy Kober (2011). Meditation experience is associated with differences in default mode network activity and connectivity. PNAS, November 23.

4Alcuni progetti di ricerca, legati alle intuizioni di Paul Gilbert, indagano la variabilità inter-battito (HRV) come indice fisiologico dell’attivazione della compassione.

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